
Facciamo tornare a casa i nostri marò
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bianca fasano
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petizione
J’Accuse…!
Fu il titolo dell'editoriale scritto da
Émile Zola al Presidente della Repubblica francese Félix Faure, sotto forma di
lettera aperta con lo scopo di difendere Alfred Dreyfus, ingiustamente accusato.
In altro ambito si dovette attendere il 1977, perché, con un proclama del
governatore del Massachusetts Michael Dukaki fossero assolti da ogni colpa Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti:- “Io dichiaro che ogni stigma ed ogni onta
vengano per sempre cancellati dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti”. Fu abbattuta così “la colonna infame” eretta sulla loro memoria. Peccato
che i due fossero stati uccisi legalmente con la sedia elettrica cinquant’anni
prima. Non vorremmo che Massimiliano
Latorre e Salvatore Girone fossero ricordati da qui a cinquant’anni,
per l’Italia e per l’india come i “nostri” Sacco e Vanzetti. Nei fatti quest’incidente che si
stanno “palleggiando” India ed Italia, riguarda due militari Italiani, i quali,
per responsabilità del Ministero della Difesa del tempo in cui era Ministro
l’on. Ignazio La Russa, erano assegnati alla sicurezza di navi commerciali
italiane. Attualmente è ancora così per molti altri militari ai quali è
affidato un incarico similesulla stessa rotta della “Enrica Lexie”, al servizio dei
privati. Quella nave, petroliera italiana di 104.000 tonnellate di stazza, che
il 15 febbraio 2012 (quindi oltre un anno fa), incrociando di fronte alla costa
del Kerala, vide avvicinarsi allo scafo una barca da pesca indiana e la ritenne
guidata da pirati, per cui i fucilieri di scorta decisero di sparare alcuni
colpi di avvertimento, ritenendo (pur trovandosi in una zona ben lontana dalla
fascia d’azione dei pirati del Corno d’Africa) di essere sotto attacco. Stupisce?
E’ di pochi giorni fa (14 marzo 2013) la notizia che proprio militari del nucleo
di protezione imbarcati a bordo di un mercantile italiano, abbiano evitato
l’attacco da parte dei pirati nel Golfo di Aden. Attacco effettuato da alcuni
pirati a bordo di sei piccole e veloci imbarcazioni. Le imbarcazioni piccole
sono da sempre caratteristiche dei pescatori e dei pirati e la protezione data
alle navi dai militari italiani (nata in base al decreto legge, del 12 luglio 2011, con il protocollo di
accordo tra la Marina militare e la Confederazione italiana armatori -Confitarma-), non
è priva di ragione. La legge La Russa, nel
luglio 2011 istruiva, in effetti, un servizio anti pirateria, da cui la
presenza dei militari sulle navi civili battenti bandiera italiana. I nostri
militari, in una parola, su quelle navi non sono in crociera ma, lontani dall’Italia
e dalle loro famiglie, compiono il loro dovere e rischiano di persona. Anche più
di quanto dovrebbero. Nel febbraio del 2012 i marine delle “Enrica Laxie” sostennero
di avere sparato in acqua, allo scopo di intimorire, tuttavia lo stesso giorno
e nello stesso mare un vascello di pescatori fu fatto oggetto di colpi d’arma
da fuoco e due uomini furono uccisi. Da qui il calvario: sul momento le
autorità locali “invitarono” la “Enrica Lexie” a far rotta su Kochi e per i
nostri marine cominciarono i guai, essendo l’accusa convinta fin dalle prime
battute che la barca dove erano morti i pescatori fosse la stessa oggetto del
fuoco dei marine. Non stupisce che, nel susseguirsi di accuse e difese e del
via vai tra Italia ed India dei nostri marinai, lo stesso Ignazio La Russa, ex
ministro della Difesa dell'ultimo governo Berlusconi (forse allo scopo di
“tendere una mano” ai due Marine), in clima elettorale offrisse ai due marò
Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, un posto in lista. Nulla di strano: è
risaputo che l’essere eletti in qualche modo rende più difficilmente
aggredibili. Ma la cosa non ebbe seguito. Ha avuto, invece, seguito, il rientro
dei due Marine in India. Pena di morte possibile? Non possibile? Fino ad oggi
il Ministero degli Esteri che ha condotto le trattative assieme al Ministro
della Difesa Di Paola non sembra
abbiano avuto effetti risolutori. Intanto i nostri due militari italiani
cominciano ad avere paura e con loro le famiglie (ovviamente) e noi civili che
assistiamo impotenti. Nessuno ha torto nell’avere paura: quei marine a bordo di
navi mercantili lungo le coste del Kerala non sono protetti da leggi
parlamentari e neanche da accordi precauzionali scritti a garanzia dei nostri
militari. Pur teoricamente presenti sul posto in nome del proprio Paese, questi
lavorano per un privato che paga il Ministero della Difesa per il servizio di
protezione che riceve e quindi sono equiparati a “contractor privati”.Degli
“errori commessi” la storia è, purtroppo, piena. Due nomi per assonanza saltano
alla mente: Sacco e Vanzetti e la
loro tardiva innocenza. Per i nostri Marine non c’è stato il “J’Accuse…!” di un giornalista di
fama quale quello che Emile Zola dedicò
al Presidente della Repubblica Francese dell’epoca, pagato dallo
scrittore a caro prezzo. Fatto sta che cominci a serpeggiare la paura. Dopo la
decisione dell’attracco e la consegna dei due italiani alla giustizia indiana,
resta lo stupore della scelta effettuata (da chi?), visto che l’incidente era avvenuto
al di fuori delle acque territoriali di New Delhi. Il governatore del Kerala
insiste oggi e con convinzione sul fatto che Latorre e Girone abbiano commesso
un reato e siano implicati nell’assassinio di due innocenti.
Per lui non si discute sulla giurisdizione,
sarà indiana:- “Il processo deve
celebrarsi in India perché loro hanno ucciso due pescatori indiani su una
imbarcazione indiana. Per questo non vi è alcuna ragione che sia l’Italia a
giudicarli”. E i due marine, come bravi soldatini, sono rientrati in India.
Giudicati colpevoli prima del processo. Si poteva evitarlo? I nostri due
italiani hanno ben ragione di chiedere che, in modo più preciso e determinato,
ci si occupi di loro:- “Non ci serve ora di sapere di chi sia stata la colpa, né che le forze
politiche si rimbalzino la responsabilità. Quello che chiediamo ora non è
divisione: unite le forze e risolvete questa tragedia”. Così scrive il marò
Massimiliano Latorre in un’email dall’India, e scrive ad un giornalista, Toni
Capuozzo secondo quanto riferisce un comunicato di Mediaset. Evidentemente
comprende che ai giornalisti spetta l’incarico di difendere chi, per difendere
le ragioni dell’Italia, che siano economiche o di altro tipo, si trova a
rischiare di finire la propria vita nelle carceri indiane, che sia d’un colpo,
con una pena di morte, o nella lenta agonia di anni di sofferenza. Riportiamoli
in Italia, non vogliamo essere ricordati dalla storia che verrà come un popolo
che ha lasciato morire, indifesi, coloro che lo difendevano.Bianca Fasano
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