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Alberto Pellè e diretta a Scopri di più
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(www.albertopelle.it) Ciò che di grave nel sistema pensionistico non accenna a fermarsi va fermato, giacché, per fare cassa, si sta vanamente costringendo a lavorare “gratis e carcerando a vita” senza scelta quest'ultimi anziani, con pesanti ricadute sui giovani, sulla motivazione e la qualità dei lavori, nonché sulla vita a tutti i livelli. E' stato "legalizzato un crimine". Non facciamoci depredare il futuro da questo importante presente
Nonostante la previdenza sia in attivo, s’impongono ripetutamente tagli alle pensioni, allungamenti spropositati dell’età d’anzianità, con stipendi fermi da quindici anni senza tenere conto dei lavori disagiati e di chi ha delle patologie. Così i forti tagli, insieme agli sconcertanti sacrifici in lavori spesso non gratificanti (a differenza di chi promuove con faciloneria queste politiche), poco vanno a risanare un’Italia che rimane nella crisi per tutt’altre ragioni.
Si mettono gli artigli sul denaro di chi è già andato in pensione, sui diritti acquisiti della gente comune e sulle pensioni di vecchiaia da portare verso i settant’anni. A farne maggiormente le spese, oltre ai giovani che non rimpiazzano i vari impieghi, sono le generazioni intorno alla classe ’55 penalizzate nelle pensioni di anzianità ora drasticamente abolite, le quali, pur avendo iniziato presto a lavorare, dovranno prolungare l’attività più o meno per altri lunghissimi quindici anni nonostante i trentacinque anni di contributi versati. Il tutto mentre incalza furtivamente l’altro bluff delle assicurazioni private.
È da diverso tempo che ci si scaglia contro gli attuali anziani, categoria tra le più vulnerabili della scala sociale, i quali hanno in genere contribuito per gran parte della vita allo sviluppo del Paese e delle loro pensioni; di là da agevolazioni del passato. Anziani sui quali ora gravano figli e nipoti, spesso senza lavoro o con stipendi da fame e con scarse prospettive per costruirsi una pensione. Anziani diventati colpevoli perché longevi, nonostante siano l’elemento centrale intorno al quale è nata la proficua, quanto discutibile, previdenza a cui tanti e di più attingono.
Prima si andava pressapoco in pensione a sessant’anni e si moriva a sessantadue, oggi che la vita si è allungata… hai visto mai che la dipartita giunga prima di andare in pensione? Trascinando la società fino a farne relitto, si ritornerà forse a morire prima, ma non sappiamo se in questa eventualità sarà ridotta, e sarebbe doveroso, anche l’età pensionabile.
Nell’affrettata calma persecutoria sono state “incarcerate”, giacché senza scelta, queste ultime anziane generazioni, costringendole a lavorare “gratis” molti anni di più e malamente, essendo triplicato il lavoro a causa anche della mancanza di personale giovane. Con la prospettica che la tanto sudata pensione sarà quasi vicina alla soglia media di vita della popolazione. In pratica le attuali anziane generazioni saranno costrette, diversamente da quelle nuove per vari o comodi motivi, a lavorare per 45/50 anni, ottenendo infine poco più di una pensione sociale al pari di chi non ha mai lavorato. E c’è intanto chi, ultra cinquantenne, perde l’attività, cerca faticosamente un nuovo impiego ma è ritenuto “vecchio”, mentre nello stesso tempo è risucchiato come “giovane” nell’impennamento dell’età lavorativa.
Cosa ci si aspetta ora dalla gente colpita in modo assai preoccupante da politiche di questo tipo? Ciò che di grave e di vile sta accadendo non è solo la scarsa qualità dei servizi trascinata da anziani molto provati, o un tradimento o una colossale truffa in denaro verso chi ha riposto nei doveri la fiducia nello Stato, ma è soprattutto un attentato silente alla libertà e ai diritti conquistati (ora senza più futuro), alla salute e alla Vita che a tutti i livelli si sta poco difendendo. Non ci si sente garantiti, nei progetti infranti dopo una vita di sacrifici per qualcosa che ci hanno prospettato e cambiato in corso d’opera. In relazione a queste manovre coltivate da tempo e poi vane c’è da chiedersi cosa serva ancora pagare i contributi pensionistici.
A sostegno della crisi e delle manovre sulle pensioni italiane, da più parti istituzionali si pronuncia: “È chiesto dall’Europa!” che è costituita da nazioni strutturate diversamente dalla nostra. La dice poi lunga che quando “è chiesto” di allungare ad esempio l’età pensionabile, non ci si adegui anche agli standard economici europei superiori e a un corretto uso dei contributi. E cosa è stato delle recentissime manovre finanziarie, mentre si continua a sottrarre denaro per ridarlo a un sistema che è stato causa della crisi? Si attaccano le pensioni di anzianità come se fino a ieri non fossero mai state tagliate, allungate o, peggio, massacrate. Gli anziani sono a rincorrere mese dopo mese la tanto sofferta libera uscita con un piede, mentre l’altro è tirato nella fossa quando le dita della sua mano passivamente contano non si sa se gli anni della pensione o la vita che se ne sta andando… Testimonianza ne è la quinta manovra finanziaria del 2011 con il Governo tecnico Monti, dove al composto e secco “sì” nell'abbattere le pensioni di anzianità e quant’altro, si contrappone l’umido “no” alla patrimoniale. Nel frattempo è denunciato che: “Le maxi-pensioni agli onorevoli costano 213 milioni allo Stato” ogni anno. Si afferma che l’anticrisi serva a salvare le future generazioni e l’Italia, ma poco gli italiani, togliendo il presente a chi l’aveva già costruito. Così le pensioni sono al primo posto per fare cassa, ma all’ultimo nella tutela della vita sequestrata. Ogni qualvolta faccia comodo, si sostiene: “Non ci sono i soldi”, ma i contributi che fine hanno fatto quando sono già stati versati dagli attuali prossimi pensionati? Si insiste che: “Gli anziani percepirebbero più di quanto hanno versato!” Ci si sta forse riferendo ai baby pensionati? ai fondi pensionistici andati altrove? Cosa c’entrano gli anziani di oggi, tenuto ulteriormente conto che gli anni pensionabili godibili sono raramente superiori agli anni dei contributi lavorati? E che dire dei contributi versati di quanti non arrivano alla pensione perché deceduti prima? Si parla di disparità previdenziale tra gli anziani e le nuove generazioni, eludendo le vere disparità tra gli attuali parassiti, vecchie pensioni e privilegi vari. Si sostiene che il risparmio dovuto agli stiramenti pensionistici serva per “l’equità e la crescita” e che gli anziani “rubano il futuro ai giovani”, quando in realtà li stanno sostenendo. Si afferma che: “L’aspettativa di vita è aumentata” con parametri statistici stimati intorno agli ottantacinque anni. Quanti li raggiungeranno realmente? Altro slogan di moda in nome della crisi: “Siamo qui a governare per il bene del Paese!” - “Uniamo le forze!” Quando, in un telegiornale del 10 dicembre scorso, una parlamentare, riguardo agli adeguamenti degli stipendi dei politici con quelli europei, risponde che è un’“istigazione al suicidio”. Allora è un genocidio quello perpetrato contro le attuali comuni persone anziane? Non si sa più cosa farneticare girando le spalle alla stravolta realtà.
Da anni pubblico sul tema pensionistico (www.albertopelle.it), un’analisi su ciò che fa alluvione da più parti, mentre un’anziana classe sociale rimane schiacciata da scellerate politiche. La crisi c’è ed è una crisi titanica autoreferenziale creata da finanze sofisticate internazionali, che da qualche tempo si sta vanamente facendo pagare alle popolazioni, affamandole.
Ancor prima, la “crisi” è profondamente culturale, legale, nel metodo meritocratico, nella motivazione lavorativa, nella democrazia e civiltà, nei valori. In tal senso questa grave crisi socioeconomica è un’occasione per riesaminare noi stessi, le Istituzioni, ridare valore a usi e costumi per un sistema più sostenibile nel tempo.
La crisi si argina quando su un’antipolitica diffusa ci si interroga. Quando ci si riappropria del significato più alto nel far politica, nonché nel gestire e non manipolare la cosa pubblica, con mandati a breve e meno onerosi. La crisi si affronta quando i cittadini adempiono ai propri doveri e rivendicano con forza i diritti inalienabili soffocati. La crisi si allontana quando c’è la presenza delle parti sociali come risposta alla popolazione indignata verso politiche lontane dal bene comune. La crisi si supera quando, a fronte di alte e innumerevoli tasse, si hanno servizi efficienti e quando questi sono equamente distribuiti e le tasse pagate da tutti. Non si sparlerebbe di crisi qualora il popolo non fosse usato dalla politica solo per essere eletta, se non si accettasse la mafiosità istituzionalizzata (che sembra agevolare il sistema ma lo ingolfa dannosamente), se la giustizia e i processi funzionassero, anche contro gli scandali nel governo da esilio, quando l’etica non diventasse un’etichetta.
La crisi pensionistica non ci sarebbe qualora si creasse sano lavoro per le nuove leve e non si trasformasse la previdenza in un’agonia per tanti e, contro le stesse leggi pensionistiche, in una banca bucata per falsi invalidi, prepensionamenti con scivoli, pensioni sociali, cassa integrati che non sono reintegrati (come nei lavori socialmente utili) e quant’altro, per poi affermare distrattamente che “i soldi non bastano per le pensioni”. Senza rimediare semmai a questo con altre entrate.
Non è sostenibile un sistema al contrario, dove gli ultimi a beneficiare e malamente della previdenza sono proprio coloro ai quali è rivolto e per cui è nato il sistema pensionistico. Là dove nella consuetudine, a fronte di una marea d’imboscati e parassiti dello Stato, si trasformano in capri espiatori quanti lavorano e pagano i contributi. O si premi chi comincia a quarant’anni il lavoro e si penalizzi quanti l’hanno dovuto iniziare a vent’anni. Insomma, si toglie ciò che appartiene ai poveri anziani per trasferirlo nelle tasche di ricchi e imbroglioni.
Troppo è stato lasciato fare su quello che di grave non accenna a fermarsi ma che va fermato. Non si sta cogliendo le drammaticità soffocate né le sconcertanti conseguenze di questa inumana politica, che va poi “elogiando” gli italiani, apparentemente senza reazione, di aver compreso e accettato tutto questo. Si è legalizzato un crimine, decantando nell’ultima riforma: “Equità e solidarietà sociale”, dove con soft banalità si fa pure passare come elargizione incentivi economici per chi resta più a lungo sul lavoro. Briciole, rispetto alla quantità di denaro e agli anni sottratti alla vita.
Un giusto sistema economico dovrebbe trasformare l’egoismo individuale in benessere collettivo. Se l’aspettativa di vita è aumentata, è bene concentrare la produttività economica verso i nuovi soggetti acquirenti. Il punto è che un sistema di alta civiltà si è da qualche tempo appiattito, trasformato in una fonte comoda, certa di denaro da prosciugare. Ragione per cui i contributi pensionistici andrebbero eliminati, opportunamente liberalizzati con il controllo dello Stato.
Occorre, infine, fornire un’attenta analisi statistica, divisa per tipo di lavoro e sesso, su quanti e come arrivano alla pensione, nonché per quanto tempo ne beneficiano. Come necessita urgentemente un serio distinguo dei lavori disagiati.
L’aumento degli anni lavorativi va comunque incentivato, fatto scegliere partendo ad esempio da trenta-trentacinque anni di contributi, giacché c’è chi arriva a sessantacinque anni con vent’anni di contributi versati chi, invece, con la stessa età ne ha quarantacinque o più. Il sistema pensionistico va poi strutturato esaminandolo in toto, non costringendo a lavorare “gratis” e “carcerando a vita” senza scelta gli anziani per far cassa, creando relitti o iniziando dalla coda quando in definitiva è stato costruito il proprio futuro e i diritti duramente conquistati. Tutto questo perché non vengono, né si possono, rimuovere gli innumerevoli contributi e i diritti acquisiti di tutta una popolazione, né tantomeno si possono richiamare in servizio tutti quelli con meno di settant’anni.
La colossale truffa persecutoria alle pensioni attraverso lo sciacallaggio “anticrisi”, va recuperata e sicuramente risarcita, insieme al TFR, agli attuali legittimi anziani. C’è urgenza di un referendum, di pacifiche mobilità, di imbracciare le mani sul lavoro di quegli anziani traditi e feriti pesantemente da tutto ciò. Anziani che nell’epilogo della propria vita sana, credono di potersi finalmente dedicare a quei sacrosanti interessi che non hanno potuto realizzare appieno per il sacrificio dovuto ai lunghi anni dedicati al necessario impiego.
Dr. Alberto Pellè
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