
Divisi si perde, uniti si vince!
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M. D.
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petizione
Leggiamo con sconcerto e profondo rammarico il comunicato del «Comitato 30 novembre» riferito alla prima udienza del processo del 12 febbraio scorso. Tale comunicato è apparso sulla pagina facebook nata per esprimere solidarietà agli studenti processati per aver partecipato ad una manifestazione contro lo smantellamento del sistema d’istruzione pubblica perpetrato dai governi di ogni colore che si sono succeduti in questi ultimi decenni. Tra quei dodici studenti, individuati come capri espiatori al solo fine di reprimere il dissenso, ci siamo anche noi. E anche noi abbiamo promosso la nascita di questo comitato di solidarietà per cercare di riportare all’attenzione pubblica i temi della protesta e di denunciare gli sfasci conseguenti all’attuazione di quelle politiche culminate nella Legge Gelmini. Ci è sembrato e ci sembra doveroso, infatti, promuovere iniziative di solidarietà che mostrino che gli studenti denunciati non sono soli e che la cittadinanza tutta li sostiene nel fronteggiare accuse strumentali ed ingiuste. Ecco perché siamo rimasti stupefatti dal contenuto del comunicato apparso nei giorni scorsi. Comunicato che è stato redatto anche a nostro nome, ma a nostra insaputa, e che, esplicitamente, opera un distinguo tra gli imputati in base alle strategie processuali da loro scelte, accordando la solidarietà solo ad alcuni di essi.Scopriamo così, a mezzo stampa, di essere stati cacciati dal suddetto comitato con un gesto autoritario ed autoreferenziale che ci lascia senza parole. Crediamo infatti che sia proprio questo atteggiamento settario ed escludente che indebolisce le lotte che tutti noi, con passione e fatica, portiamo avanti nei luoghi di studio e di lavoro. In questo modo, si presta ancora una volta il fianco al metodo del «divide et impera» che il potere ha sempre usato per reprimere e sopraffare. La nostra battaglia contro la repressione del dissenso e le politiche di distruzione dello stato sociale prescinde dalla particolare strategia adottata dai singoli e l’unica cosa che ci auguriamo, rispetto alla vicenda strettamente processuale, è che si risolva in maniera positiva per tutti e che si riconosca l’ingiustizia e l’infondatezza delle accuse che ci sono state rivolte. Per questo non comprendiamo le ragioni di operare cesure e divisioni al nostro interno sulla base di slogan fumosi e inconsistenti. Vogliamo inoltre precisare che il nostro processo non è, come erroneamente è stato scritto, il primo cui sono sottoposti a Siena degli studenti per aver manifestato le loro idee. Speriamo vivamente che sia l’ultimo ma, se così non fosse, dobbiamo dimostrare che chi viene processato per aver manifestato le proprie idee è capace di fronteggiare i propri accusatori, che non verrà lasciato solo e, soprattutto, non verrà additato dai suoi stessi compagni di lotta semplicemente per aver invocato un articolo diverso del codice di procedura penale.
Rieniamo infatti che, lo spirito ed il motivo che ci hanno portato a stare in quelle piazze, in quelle numerose e partecipate assemblee, sia sempre lo stesso: quello di difendere l'istruzione pubblica dal suo ennesimo smantellamento, operato drammaticamente non solo dalla Legge Gelmini, ma da tutti i successivi decreti attuativi e dalla costante sottrazione di risorse pubbliche alle nostre Università. I continui tagli all'istruzione, l'accorpamento di corsi di studio, l'aumento della contribuzione studentesca, l'azzeramento dei fondi statali per il diritto allo studio, l'ormai precario sistema universitario ha portato ad escludere circa il 20% degli studenti e delle studentesse dai luoghi della formazione. L’università di Siena, in particolare, è un caso emblematico di questo scempio con un depauperamento progressivo dell’offerta didattica, il consistente taglio del FFO, il blocco delle assunzioni e degli stipendi, lo stralcio del contratto dei Collaboratori ed Esperti Linguistici, il licenziamento dei dipendenti delle cooperative che tenevano aperte le nostre biblioteche e gestivano i servizi di portineria dell’Ateneo.
A tutto questo ci opponevamo scendendo in piazza il 30 novembre 2010 e di questa opposizione siamo chiamati a rispondere nel processo, ad ormai quasi quattro anni di distanza.
Il movimento del 2010 è stato un momento di partecipazione che ha assunto molteplici forme: dalle occupazioni dei monumenti, fino a quelle dei tetti dell'università dei nostri ricercatori, passando per i blocchi delle stazioni e delle strade. In quelle piazze eravamo in migliaia e di quelle migliaia hanno colpito, con pesanti intimidazioni, solo alcuni capri espiatori, innalzati a leader di un movimento che non ne riconosceva nessuno e che camminava esclusivamente sulle proprie gambe contando solo sulla solidarietà di chi vi aveva preso parte e ne aveva condiviso le speranze e le battaglie per un'Università aperta, libera ed accessibile a tutti.
Oggi più di ieri, dentro questa drammatica crisi che sta investendo tutti, il valore di quelle proteste assume un significato, se vogliamo, ancora più profondo. Per questo motivo non riusciamo ad operare alcun distinguo, per questo motivo chiediamo la solidarietà a tutte coloro e a tutti coloro che, oggi come allora, credono che sia necessario ripartire dai luoghi della formazione per dare sviluppo, futuro e crescita al nostro Paese.
La solidarietà che ci ha unito in quelle piazze deve tornare ad essere il collante che ci permette di fronteggiare chi ci reprime e chi ci nega il nostro diritto costituzionale a difendere il libero e pubblico accesso ai luoghi della formazione. Chi imprigiona la lotta nella trappola delle divisioni politiciste e strumentali fa il medesimo gioco di chi ci distingue in “buoni” e “cattivi” e ci trascina nelle aule di tribunale. Di fronte a questo il nostro appello resta sempre lo stesso: uniti si vince, divisi si ci indebolisce e noi non possiamo permettercelo perché abbiamo il dovere di resistere un minuto di più.
Cannamela Alessandro
Carlotta Vincenzo
Castagna Stefano
Dimonte Mario
Giuli Francesca
Maccherini Emanuele
Pariboni Riccardo
Polloni Nicola
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